SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'ASCENSIONE DEL SIGNORE

Roma, Rettoria di San Sebastiano al Palatino, 12 maggio 2024

 

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO DE DONATIS, PENITENZIERE MAGGIORE

 

24.05.12

Carissimi fratelli e sorelle,

Nel lungo discorso di addio riportato dall’evangelista Giovanni e letto nella liturgia di questa settimana Gesù ha preparato i suoi discepoli a comprendere in profondità il senso del suo ritorno al Padre; li ha orientati a guardare in alto a sentirlo presente in modo nuovo, a vivere nella gioia.

E ora, nel momento in cui Gesù ascende al Padre, i discepoli sono chiamati ad affrontare questo distacco, a non vedere più il Risorto con gli occhi della carne. Nel cuore del discepolo che ha seguito Gesù si prepara un “addio”. Ma questo distacco non è orientato a un passato che chiude, a una memoria piena di nostalgia (questa è la tentazione), ma al futuro, a una novità di vita. Il discepolo, aiutato dalla parola di Gesù, sente che da questo momento per lui si apre un mondo nuovo. Nuovo è lo sguardo, nuovo è il cammino che deve compiere, nuova è la sua missione nel mondo.

Tutto questo cambia profondamente l’esistenza del discepolo anzitutto in rapporto a Gesù. Solo nel momento in cui Gesù scompare dalla sua vita, il discepolo in profondità lo riconosce, conosce il senso del suo cammino. Conosce il segreto nascosto della sua morte, conosce la potenza e la speranza della sua Risurrezione. Conosce tutto questo perché, accettando il distacco dal volto di Gesù sa fare spazio a un altro volto, più interiore ma non meno concreto: il volto che lo Spirito intesse nel suo cuore e nella sua vita.

Ma l’esistenza del discepolo è trasformata anche in rapporto al mondo. Il discepolo sente che dal momento del distacco è chiamato prima di tutto ad attendere. Da qual momento tutta la vita del discepolo, il suo tempo, la storia che è chiamato a vivere, i suoi giorni, i singoli momenti diventano attesa. E proprio l’attesa è lo spazio che si frappone tra un distacco e un rinnovato incontro.

Ogni giorno come giorno di attesa, il dispopolo sa che deve preparare l’incontro tanto desiderato quando finalmente rivedrà il volto glorioso del suo Signore, il suo corpo segnato dalle ferite che lo hanno salvato e potrà udire la sua parola di perdono e compassione: “verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.

Ma quest’attesa non allontana il discepolo da quel mondo concreto in cui è chiamato a vivere nella vigilanza. Paradossalmente il distacco da Gesù porta il dispopolo ad avvicinarsi, a chinarsi, ad andare verso il mondo. Anzi, proprio perché il volto di Gesù non è più visibile con gli occhi della carne, il volto del discepolo, le sue mani, i suoi piedi diventano volto, mani, piedi di Gesù. Questo, in profondità, è il senso della parola di Gesù al dispesolo: “di me sarete testimoni”. Testimoni di Gesù nel mondo: ecco la novità che scaturisce da questo distacco.

Ma l’occhio del corpo deve essere rivolto a terra per accogliere con lo stesso sguardo di Gesù tutte le ferite dell’umanità. L’occhio del cuore deve essere sempre rivolto al cielo, dove c’è per ogni discepolo, per ogni uomo un posto preparto accanto a Gesù, e dove ogni attesa sarà colmata.

Quest’occhio interiore ci abitua a un distacco da questa storia e da questo mondo che pure dobbiamo amare, ma che non sarà l’ultimo luogo del nostro riposo, che non sono la meta del nostro cammino. Forse, più che un distacco, questo sguardo interiore ci abituerà a dire a tutte le cose: “Ad-Dio”. Siamo sicuri di ritrovare questo mondo e questa storia, i volti incontrati e le cose amate, riavute in Dio.

Per vivere bene l’oggi non possiamo dimenticare quello che ci è stato donato: poter rimanere sempre e comunque in comunione con il Signore, nonostante i pericoli, le tribolazioni, le angosce che la nostra vita può attraversare.

Noi dimoriamo “nel suo nome” siamo in comunione con la persona del Risorto. I segni, precisa l’evangelista - stanno a manifestare che il “Signore agiva insieme con loro”.

Il male continua a segnare di sé la nostra esperienza storica, i demoni rimangono, i serpenti rimangono, i veleni rimangono. I segni dicono altro: anche l’esperienza del male può essere attraversata custodendo la comunione con il Signore. È in questa comunione che troviamo davvero vita, gioia, speranza anche quando non viene risparmiato di attraversare vie oscure. Cambia più il modo di farlo perché non siamo soli, ora siamo nel suo nome e lui agisce insieme a noi.

I segni dicono anche questo: che il male non scompare dalla faccia della terra ma viene trasformato il nostro modo di attraversare quest’esperienza. Ecco la trasformazione che la Risurrezione opera nella nostra vita: non elimina l’oscurità intorno, ci rende però luminosi dentro, facendoci dimorare in colui che è la luce del mondo.

L’apostolo Paolo direbbe che ci consente di rimanere figli della luce anche se siamo ancora nella notte.

Amen.